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La sala era colma di attesa quando il Papa, con un sorriso spontaneo e disarmante, ha accantonato il discorso ufficiale di nove pagine con queste parole: «Leggere nove pagine sarebbe una tortura. Io darò questo al Prefetto. Che sia lui a comunicarlo a voi. Volevo soltanto dire una parola sulla comunicazione». Con la semplicità che contraddistingue il suo stile, il Pontefice ha regalato una riflessione profonda e coinvolgente sulla natura della comunicazione e sul suo potere di trasformare il mondo.
La comunicazione come uscita e incontro
Per il Papa, comunicare è molto più di un semplice trasferimento di informazioni: è un atto di uscita e di incontro. È uscire da sé stessi, rompere la barriera dell’individualismo e del narcisismo, per offrire all’altro qualcosa di autentico, qualcosa di proprio. Ma la comunicazione non si esaurisce nell’atto di dare: è anche e soprattutto un incontro, un dialogo che si costruisce nell’apertura reciproca, nel riconoscere e accogliere l’altro.
«Saper comunicare è una grande saggezza – ha affermato il Papa -. Ed è una saggezza che richiede coraggio, umiltà e una capacità di ascolto che troppo spesso manca nel nostro tempo, dove la velocità e la superficialità delle interazioni rischiano di far perdere il senso profondo del comunicare».
Raccontare la speranza: la buona battaglia
Il cuore del messaggio del Papa si è poi spostato sul tema della speranza. In un mondo spesso coperto dalle ceneri di conflitti, ingiustizie e sofferenze, raccontare la speranza diventa un atto rivoluzionario. «Raccontare la speranza significa avere uno sguardo che trasforma le cose, le fa diventare ciò che potrebbero, che dovrebbero essere».
La speranza non è un’illusione, ma un invito a vedere oltre ciò che appare, a riconoscere nelle situazioni più difficili il potenziale di rinascita, di cambiamento, di bene. Raccontare la speranza vuol dire mettere in movimento le cose, spingerle verso il loro destino, verso ciò che sono chiamate a diventare.
E in questo compito, il Papa ha invitato i comunicatori a prendere posizione: «questa è la vostra buona battaglia», ha ricordato, riprendendo le parole di San Paolo. Una battaglia che si combatte con le parole, ma anche con i gesti, con la coerenza e con la determinazione a far sì che ogni messaggio diventi un seme di speranza.
Il potere delle storie
Il Papa ha concluso il suo intervento sottolineando il potere delle storie, che sono capaci di illuminare anche le notti più buie, di costruire ponti e di far emergere il meglio delle persone. «Raccontare la speranza, condividerla, è il compito più alto di chi comunica».
In un tempo in cui il mondo sembra frammentarsi sotto il peso delle disuguaglianze e delle divisioni, le storie di speranza possono diventare una forza di coesione, un antidoto alla disperazione e un motore di cambiamento.
Un invito alla responsabilità
Le parole del Papa non sono state solo un incoraggiamento, ma un appello alla responsabilità. Comunicare significa assumere il peso delle proprie parole, riconoscere il loro potere e usarle per costruire, non per distruggere. Comunicare con speranza vuol dire non abbandonarsi al cinismo, ma essere testimoni della possibilità di un mondo migliore, dove ogni gesto, ogni storia, ogni incontro contribuisca a costruire una rete di pace e di amore.
Ecco il messaggio che il Papa ha lasciato: non lasciatevi scoraggiare, raccontate la speranza, fatela camminare. È questa la vera missione di chi comunica, è questa la saggezza che può trasformare il mondo.